Il volgere veloce e confuso degli eventi dell’8 settembre colse la Compagnia di Valter impreparata, priva di indicazioni e di ordini da eseguire.
Fu comunque una fortuna per Valter e per gli altri giovani della Compagnia essere lontani dalle città e, in particolare, dall’aeroporto di Parma. L’aeroporto venne infatti ben presto occupato dai tedeschi e i soldati italiani si trovarono improvvisamente reclusi all’interno del proprio stesso aeroporto con un destino ormai segnato, esser deportati in Germania per servire il Reich. Solo qualche giovane si salvò grazie al miracoloso e coraggioso intervento del cappellano Loris Capovilla, il futuro segretario particolare (1953-63) di Papa Roncalli. Una vicenda di cui il protagonista non parlerà mai ma che emergerà gradualmente e con dovizia di particolari da numerose testimonianze[1].
In quell’8 settembre Valter tornò col pensiero a Giovanni Zin quando con La Stampa aperta sulla scrivania affermava con toni pacatamente irritati“questa sporca guerra è ancora più incomprensibile di altre. È una guerra di Mussolini e dei fascisti. Non è la nostra, non è italiana”. E ricordò anche i giudizi tranchant di Carlo Ibolino sul regime ai quali era solito replicare “Fa attenzione, non parlare in modo avventato dei fascisti, hanno orecchie dappertutto. Parli male oggi di loro e te li ritrovi in giorno dopo in casa a perquisire mobili e cassetti, e a bastonare i tuoi genitori!”.
Il 9 settembre fu il giorno dell’attesa di ordini che non arrivarono e che non arriveranno mai.
“Dovete scappare al più presto se non volete cadere nelle grinfie dei tedeschi” fu il consiglio della popolazione di Vicchio, pressoché un coro. Qualche notizia arrivò col passaparola e riferiva di tentativi tedeschi di entrare in Toscana attraverso il Passo della Futa (a soli 30 km da Vicchio) difeso con successo dal 30° battaglione Avieri al quale però venne poi ordinato di ripiegare.
Ordini contraddittori. A una trentina di chilometri da Vicchio, i tedeschi tentarono il 9 settembre verso le 18 di entrare in Toscana attraverso il Passo della Futa, ma i battaglioni italiani ben posizionati ebbero la meglio e fecero anche prigionieri. Verso le 23.30 arrivarono altri contingenti tedeschi che comunque gli italiani riuscirono a fermare fino alle 2.00 quando cominciarono a retrocedere per non venire circondati. Il 10 settembre alle 12.00 gli italiani attaccarono nuovamente e riconquistarono il passo che secondo gli ordini dovevano difendere ad oltranza. Senonché poco dopo arrivò l’ordine contrario, quello di abbandonare il Passo e retrocedere sulle colline di Fiesole. In questa operazione è impegnato il XXX battaglione Avieri[2]. Non si può sapere se anche il XXXI, a cui apparteneva Valter, fu in qualche modo coinvolto nell’operazione ma questo era il confuso clima tra ordini diversi e contrastanti in cui si trovava l’esercito italiano all’indomani dell’8 settembre.
È probabile che il ripiegamento abbia coinvolto anche il battaglione 31° Avieri, quello di Valter, al quale il 10 settembre mattina fu ordinato di partire alla volta di Firenze. Nel corso di quella che pareva una fuga affrettata piuttosto che una ritirata strategica, molti militari, dopo aver recuperato qualche abito civile, si allontanarono dalla truppa. La popolazione [di Vicchio] si prodigò in uno straordinario moto di solidarietà verso i giovani soldati che avevano abbandonato le divise e gli ex prigionieri fuggiti dai campi di prigionia [3].
Con l’intenzione di tranquillizzare genitori e parenti Valter, prima di salire sul treno per Firenze con quel che rimaneva del suo plotone, trasse dalla tasca un’ultima “Cartolina postale per le forze armate” e la spedì a uno zio di Alessandria; vi era impresso il timbro della Compagnia: quasi a dare una rassicurazione ufficiale.
Arrivato a Santa Maria Novella, prima di decidere sul da farsi, spedì a Torino ai genitori una cartolina della Cattedrale del Giardino di Boboli (le Poste di Firenze la timbreranno solo il giorno dopo). “Sono di picchetto e ho molto da fare – scrisse ai genitori – vi scriverò presto e più a lungo” e aggiunse come mittente “XXXI^ Btg Avieri, II^ Comp. Poggio Imperiale, Firenze”. Poggio Imperiale poteva essere in effetti una sede plausibile della Compagnia perché la Villa medicea, a seguito dei bombardamenti, non era più sede del rinomato Collegio femminile di SS Annunziata[4], ma era diventato sede di alcuni reparti dell’Aeronautica[5]. Cercò, in questo modo, di tranquillizzare i genitori e contemporaneamente di eludere eventuali controlli sulla posta, soprattutto a Torino, che già il 10 settembre fu letteralmente consegnata dal generale Adami Rossi ai Reparti SS[6]: “Torino era stata occupata senza lotta come l’acqua sommerge un villaggio”[7]. “Come e perché abbia ceduto senza colpo ferire ad uno sparuto gruppo di Tedeschi è un mistero”[8].
Con questa cartolina ebbe termine la sua corrispondenza con i genitori.
Alla stazione di Firenze Valter e il suo plotone vennero probabilmente avvicinati da alcuni antifascisti che li misero in guardia “Fate attenzione ai tedeschi, vi vogliono portare in Germania o ai lavori forzati per l’Organizzazione Todt[9], fucilano chi abbandona il proprio reparto e cerca di tornare a casa, vi aspettano soprattutto alle stazioni ferroviarie”[10]. Furono consigli preziosi perché per i tedeschi i soldati italiani non erano altro che disertori da fucilare o da deportare con la qualifica di “internati militari”, un modo, questo, per privarli delle tutele spettanti a livello internazionale ai prigionieri. Nei giorni successivi all’8 settembre i tedeschi, deporteranno in Germania 800.000 soldati italiani. Di questi 50.000 morirono durante la dura prigionia.
Il tempo non concedeva tentennamenti, era necessario fuggire al più presto. L’11 settembre i tedeschi arrivarono a Firenze e occuparono con i blindati Piazza San Marco, sede del Comando di Corpo d’Armata italiano[11].
Non si conosce la strada che Valter scelse per raggiungere Torino, ma certo, come il sottotenente Innocenzi in Tutti a casa di Luigi Comencini, la percorse con animo travagliato, mente confusa e fisico spossato. Non era certo facile prendere atto che le parti si erano invertite, che i nuovi nemici erano vicini, mentre i nuovi alleati erano ancora molto lontani. Valter ben sapeva che l’attendevano ostacoli e pericoli ma era risoluto ad affrontarli senza timori: “Non si può avere sempre paura” urla Sordi nel film.
“A casa potrò recuperare le forze mentali e fisiche per affrontare il futuro”, pensava mentre le sue scarpe macinavano chilometri. Di giorno camminava solo nei boschi, di notte per brevi tratti seguiva strade e sentieri o attraversava con prudenza i campi, evitava le città e le strade più frequentate, sempre attento a eventuali voci e rumori in avvicinamento, pronto a rifugiarsi rapidamente in un nascondiglio sicuro.
Quello che aveva appreso sulle tecniche di appostamento diventò prezioso non per combattere ma per fuggire. Spesso il coraggio e la determinazione cedevano di fronte a una stanchezza che si chiamava paura, forte e costante, talvolta paralizzante. L’audacia rasenta spesso la pazzia, la pazzia talvolta prende il nome di coraggio, ma è sempre l’incognita a dare la misura delle proprie capacità fisiche e mentali. E di incognite sarebbe stato costellato il percorso verso casa.
Il cammino durò quasi un mese. E ogni giorno mancavano le cose essenziali, il pane, un paio di suole senza buchi, un giaciglio per riposare, ma soprattutto la possibilità di dare notizie ai genitori. Il suo pensiero andava spesso a loro, a quanto dovevano essere preoccupati per la sorte del loro unico figlio. La prudenza gli suggeriva di non scriver loro altre missive, convinto che avrebbero compreso i motivi di quel suo lungo silenzio.
I suoi occhi impauriti e il suo incedere circospetto erano quelli delle migliaia di giovani ragazzi confusi e indifesi che arrivavano silenziosi all’imbrunire nei villaggi più sperduti. Non dovevano spiegare perché erano lì e di che cosa avevano bisogno: la solidarietà e la comprensione verso quei giovani sbandati, era diffusa. Nelle campagne potevano contare su un tetto di fortuna, almeno per qualche ora, qualche vestito civile, qualche tozzo di pane. Le chiese erano per loro sempre aperte: il prete diventava, nell’accezione più spirituale del temine, un vero “servitore d’anime”[12].
È probabile che lungo il percorso Valter abbia incontrato anche don Luigi Cocco, salesiano dell’Istituto Valdocco di Torino, tenente cappellano militare in fuga da Grosseto verso Torino con un folto gruppo di soldati dell’esercito regio.
Camminare e pensare sono due attività quasi complementari e Valter in quei giorni di cammino ebbe modo di pensare molto alla sua vita che era, sì, coincisa col Ventennio fascista, ma che si era anche arricchita degli ideali dei giovani cattolici, certo non rivoluzionari ma mai allineati al pensiero unico fascista. Camminava senza un percorso preciso, pensava ma senza avere certezze. Anche sulla fine del fascismo dovrà ricredersi: già il 18 settembre risorse dalle ceneri come Repubblica Sociale Italiana con a capo un Mussolini diventato marionetta del führer. Come ammise lo stesso Maresciallo Graziani: “Combatteranno perciò i fratelli contro i fratelli … l’orrore della guerra civile … tornerà ad insanguinare le zolle della Patria”.
[1] L’Eco di Bergamo, 24 novembre 2011: https://www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/249720_Quando_Capovilla_sfidò_i_nazisti_e_in_bicicletta_salvò_dieci_avieri/ (consultato il 27/12/2021). Il Mattino di Padova, 4 ottobre 2018: https://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2018/10/04/news/decine-di-avieri-salvati-dai-campi-di-prigionia-un-cippo-ricorda-il-tenente-loris-capovilla-1.17317800 (consultato il 27/12/2021).
[2] Roggero 2006, p. 340-341.
[3] www.goticatoscana.eu/1943-1945-la-liberazione-in-toscana-la-storia-la-memoria/
[4]Vi fu iscritta anche Edda la primogenita di Mussolini. https://www.barnum-review.com/it/portfolio/leducandato-del-poggio-imperiale-di-firenze-compie-150-anni/ (consultato il 14/2/2022).
[5] https://www.barnum-review.com/it/portfolio/leducandato-del-poggio-imperiale-di-firenze-compie-150-anni/ (consultato il 14/2/2022).
[6] Adami Rossi l’11 ottobre aderì alla Repubblica sociale italiana. Dopo la Liberazione fu processato senza mai venir condannato definitivamente. Il suo nome compare nel Registro centrale per i criminali di guerra e i sospettati per la sicurezza (CROWCASS)
[7] C. Pavese, La casa in collina, Torino Einaudi, 1987, p.12 citato in Servetti 1997, p. 46
[8] Chevallard 1995, p. 100.
[9] Dizionario 2000, 1, p. 63.
[10]Intorno a Firenze, all’indomani dell’8 settembre, si riunirono e si organizzarono gruppi di partigiani, che attingevano forze e ideali da un radicato antifascismo, di impronta soprattutto comunista F. Cavarocchi, “Firenze in guerra: dall’estate del 1943 alla Liberazione”, in Firenze in guerra 1940-1944, a cura di Francesca Cavarocchi e Valeria Galimi, Catalogo della mostra storico-documentaria (Palazzo Medici Riccardi, ottobre 2014-gennaio 2015), Firenze 2014, p. 76
[11]Matteo Mazzoni, “11 settembre: i tedeschi occupano la città”. https://www.storiadifirenze.org/?p=3449 (consultato il 15/2/2022)
[12] La decisione di rimanere nella propria chiesa non fu politica o ideologica, ma solo pastorale. I vescovi stessi esortarono preti e parrocchiani all’accoglienza, alla solidarietà, per aiutare i giovani ex militari sbandati, i rifugiati, chi non aveva di che nutrirsi e aveva perso la casa (Paglia 2014, p. 465-468). Alla fine del conflitto, solo in Piemonte furono venti i sacerdoti condannati a morte, offrendo spesso la propria vita in cambio di quella di altri prigionieri (Bianchi 2011, p. 43 e 71).