Doc. B Premessa: Il sottoscritto Ten. Col. Reisoli Matthieu dichiara che il S. Ten. Agostini Valter, di Feliciano, è stato suo diretto collaboratore per il movimento partigiano dal luglio 1944 al settembre 1944, dapprima come aiutante maggiore del Magg. Di Costanzo[1] – Capo di S.M. della formazione, poi come aiutante maggiore del sottoscritto.
Eugenio Reisoli Matthieu (classe 1894) era un militare di carriera che aveva idee molto chiare sul ruolo che gli ex militari dovevano ricoprire nella Resistenza. Durante la guerra era stato Ten. Col. della IV Armata e dopo l’8 settembre fu mandato dal gen. Raffaello Operti (capo militare C.L.N. fino a dicembre 1943[2]) a Mezzenile, in località Sabbioni, nei locali della Cooperativa dei chiodaioli dove si era insediato il “distretto di arruolamento”[3], con l’incarico di accogliere i molti giovani che vi affluivano per organizzarli in gruppi partigiani operanti in diverse frazioni delle Valli di Lanzo (Monti, Pian Genin, Ca’ di Genina, Rangiroldo, ecc.). Per provvedere al sostentamento di un così gran numero di giovani in clandestinità Reisoli poteva contare sui fondi rimasti della IV Armata e messi a disposizione da Raffaello Operti ex generale dell’intendenza della stessa Armata. Nelle Valli di Lanzo, come altrove le bande erano molto eterogenee; vi avevano aderito giovani militari sbandati (tra cui gli avieri di Caselle e i soldati della sciolta IV Armata), renitenti alla leva, aderenti all’Azione Cattolica, ebrei e giovani comunisti. Il rigido inquadramento militare che Reisoli intendeva adottare per organizzare le bande sotto un unico comando suscitò ben presto malcontento e insofferenza. Verso febbraio, poi, all’interno della maggior parte delle bande prevalse decisamente la componente comunista e Reisoli decise di spostarsi a Torino seguito dal suo aiutante maggiore Ennio Pistoi che nelle Valli di Lanzo aveva già raggiunto una certa notorietà per alcune azioni condotte con coraggio e astuzia. Poco dopo la destituzione di Operti dal comando delle formazioni regionali con l’accusa di voler soltanto combattere i comunisti[4], nelle Valli di Lanzo Reisoli fu sostituito dal capitano Gustavo Ribet[5] che sarà poi catturato nel corso del vasto rastrellamento di inizio marzo[6].
A Torino Reisoli creò una sua formazione, legata anche se non ufficialmente alla D.C., e la chiamò “Nuovo Risorgimento Italiano”. Le sue posizioni anticomuniste erano puntuale tema di dibattito nelle riunioni del “Comando piazza”[7]: tra i rappresentanti dei partiti nessuno dubitava sull’utilità dell’apporto degli ex militari e della loro buona fede, ma si temeva che dietro l’ostentata apoliticità si nascondessero obiettivi reazionari[8]. A destar sospetti era innanzitutto il richiamo al Risorgimento, periodo storico aspramente criticato fin dagli Anni Trenta nella rilettura storica comunista prima di Giorgio Amendola e poi, dai toni durissimi, di Palmiro Togliatti[9].
Valter entrò in questa formazione presumibilmente a fine giugno. La scheda dell’ISTORETO attesta che da giugno 1944 Valter svolse la propria attività nella 2^ brigata S.A.P. D.C., dove D.C. sta per Democrazia Cristiana[10]. È dunque molto probabile che l’attività dell’N.R.I. si svolgesse nell’ambito delle S.A.P. (Squadre di Azione Patriottica) o che fosse comunque assimilabile a quella delle S.A.P. che si occupavano, tra l’altro, di estendere la lotta partigiana a ogni strato sociale sia in città sia in campagna. Le S.A.P., costituite dal comando centrale proprio in quell’estate del 1944 erano organizzate dai vari movimenti antifascisti e coordinate dal “Comando piazza della Città di Torino”[11] che, a sua volta agiva in accordo con il “Comando militare regionale piemontese” e con il C.L.N. Avevano il compito di reclutare nuovi partigiani, dare sostegno logistico, recuperare armi e, naturalmente, compiere azioni contro obiettivi nazifascisti.
Doc. B1: raccolse uomini e li coordinò in squadre operanti in Torino.
La Resistenza, nonostante le mille difficoltà, otteneva sempre nuovi consensi anche in seguito a importanti eventi, quali l’ingresso del gen. americano Mark Wayne Clark a Roma (4-5 giugno 1944) e lo sfondamento della linea gotica.
Per preparare l’insurrezione, che pareva quanto mai imminente, anche la formazione del N.R.I. si adoprava nella raccolta e nel coordinamento di giovani partigiani, specialmente di coloro che, almeno in quel momento, non avevano ancora aderito ad alcun partito. Per garantire il maggior livello possibile di sicurezza, il reclutamento avveniva a compartimenti stagni raggruppando da tre a nove combattenti, che a loro volta si facevano promotori di altri gruppi[12], una rete che in poco tempo si estese dalla città ai sobborghi e alle campagne intorno a Torino.
Se i nuovi incarichi a Torino consentivano a Valter di far giungere più facilmente sue notizie ai genitori e, quando le condizioni lo permettevano, di incontrarli, lo ponevano però in costante pericolo. Da luglio a caccia di partigiani vi erano anche le neocostituite Brigate Nere (Corpo Ausiliario delle Squadre d’Azione delle Camicie Nere) volute dal convinto hitleriano Alessandro Pavolini (1903-1945). A Torino si insediò la Prima Brigata comandata da Giuseppe Solaro e intitolata al giornalista “incitatore di rappresaglie” Ather Capelli, Direttore della Gazzetta del Popolo, ucciso dai partigiani quattro mesi prima[13]. Per questi motivi Valter incontrava i genitori preferibilmente fuori casa, magari accanto alle macerie dell’ex cinema Colosseo, ma sempre per pochi minuti attento a non destar sospetti. La notte andava in collina o in periferia dov’era più agevole trovare un giaciglio sugli ammattonati di qualche edificio rurale. E, dopo aver spento la lampada ad acetilene discuteva con i compagni il programma del giorno seguente raccomandando, come sempre, prudenza. Il freddo della notte certamente non aiutava a lenire il dolore causato dal congelamento patito durante la fuga dal Gran Dubbione. Vi erano giorni in cui non poteva fare a meno di zoppicare e allora si affidava a qualche medicina rimediata al mercato nero, come mandragola e giusquiamo. I compagni sorridendo gli chiedevano: “oggi le ginocchia fanno Giacomo Giacomo, vero?”.
Doc. B2: fu incaricato per il rifornimento delle armi e per l’assistenza agli uomini e ai carcerati.
Partecipò a colpi di mano per prelevare armi e automezzi attaccando e disarmando i posti di guardia. Le armi venivano poi portate nei nascondigli delle S.A.P., come in un garage di Barriera di Milano[14]. Gli automezzi venivano invece riverniciati presso l’officina Volkswagen del commendator Garrone[15], nei pressi dell’Ospedale Mauriziano, e usati, con nuovi documenti di circolazione, per il trasporto armi e altri servizi[16] .
Formava con Ibolino[17] e alcuni giovani fidati un distaccamento incaricato di informarsi, con diversi stratagemmi, sullo stato dei partigiani incarcerati. Alle Nuove un’ala era stata occupata dai tedeschi e in essa partigiani, ebrei e prigionieri di guerra erano tenuti in isolamento in celle umide e completamente buie o stipati in dieci in uno spazio talmente angusto che potevano sdraiarsi soltanto in due o tre alla volta. A prodigarsi per loro, tra gli altri, Suor Giuseppina delle Figlie della Carità[18] e il francescano Don Ruggero Cipolla che riuscivano con astuzia e coraggio a conoscere i nomi dei carcerati, portar loro di nascosto cibo e medicine e far giungere all’esterno brevi messaggi ai famigliari e ai partigiani.
Doc. B3: in seguito alla scoperta da parte dell’U.P.I. di Torino del primo ufficio documenti falsi, ne organizzò un secondo procurando a renitenti, ricercati e partigiani di qualsiasi formazione: carte d’identità, bilingue di lavoro, documenti di presentazione per ufficiali e soldati, ed altri ancora.
Si occupava anche del delicato lavoro di realizzazione dei documenti falsi. “Ci sono ebrei e perseguitati politici che bisogna munire di documenti falsi” [19]. Questa notazione di Valdo Fusi testimonia che i documenti abilmente contraffatti erano richiesti fin dai primi giorni della Resistenza e si rivelavano veri e propri salvavita. In essi si aveva l’accortezza di conservare le stesse iniziali dei nomi e cognomi originari in modo da non contraddire eventuali “cifre” cucite, com’era usuale in quell’epoca, su indumenti, biancheria o manufatti di proprietà, quali medagliette, ciondoli, orologi, ecc. La falsificazione riguardava non solo la carta d’identità ma anche il tesserino bilingue del lavoro, le tessere annonarie[20], la patente di guida, documenti di circolazione per autoveicoli e altri documenti civili e militari[21]. I documenti falsi venivano redatti su moduli del tutto identici agli originali grazie alla complicità di alcuni tipografi in possesso di timbri e sigilli ufficiali. Quando Ennio Pistoi fu arrestato perché trovato in possesso di timbri falsi, fu lo stesso commissario interrogandolo ad ammettere che i timbri falsi erano indistinguibili dagli originali[22].
I documenti di riconoscimento destinati agli ebrei ancora rimasti a Torino venivano periodicamente recapitati anche alla sacrestia della chiesa di San Domenico. Da qui don Giuseppe Girotti, giovane biblista[23] innamorato della cultura ebraica, di nascosto anche dai suoi stessi confratelli, si assentava spesso per andare a consegnare i documenti falsi agli ebrei nascosti presso amici in città e soprattutto in collina. Lo faceva da tempo e purtroppo proprio in quel periodo, il 29 agosto, con l’inganno, venne scoperto, arrestato e deportato a Dachau dove morirà di stenti il primo aprile 1945. Non sappiamo se Valter lo conobbe, ma per molto tempo conservò l’abitudine, quando percorreva via Milano, di guardare intensamente verso quell’antica chiesa del centro storico come se gli suscitasse una profonda emozione e come se ancora vi fosse qualcuno da salutare[24].
Il “primo ufficio documenti falsi” era stato organizzato dal Prof. Angelo Tettamanzi[25] e quando questi venne arrestato[26], Valter collaborò ad organizzarne un secondo[27] recuperando i documenti in bianco e gli ancor più scottanti timbri.
Doc. B4: raccolse ed inviò elementi nei gruppi di montagna.
Raccoglieva nuove adesioni alla Resistenza, coordinava gli uomini da destinare alle attività in città e, con accortezza, dava indicazioni a chi preferiva invece unirsi alle formazioni che operavano in montagna.
Doc. B5: diede la sua opera di collaborazione ad un’impresa continuata di sabotaggio ai lavori che venivano effettuati dai tedeschi sulla spiaggia ligure e denominati Vallo Ligure (Sezione di Celle).
Sotto il comando di Reisoli le attività erano numerose e diversificate e necessitavano di preparazione logistica e attenta pianificazione, come in occasione dell’arrivo da Celle Ligure di una richiesta di supporto per sabotare le opere del Vallo ligure, ossia le vecchie fortificazioni italiane erette fin dall’Ottocento lungo la costa ligure e che, dopo l’8 settembre i tedeschi, temendo uno sbarco alleato in Liguria avevano rafforzato con casematte (Tobruk), nuove batterie costiere (trafugate all’esercito italiano), muri antisbarco e “gusci a tartaruga” a difesa dei cannoni, tutte opere costruite dall’Organizzazione Todt. A Vado le opere, tuttora visibili[28], venivano fatte sfruttando il lavoro coatto dei civili internati nel campo di concentramento di Celle.
Dopo lo sbarco in Provenza (15 agosto) i tedeschi crearono un nuovo fronte sulle Alpi Marittime disponendo i ventimila soldati della divisione alpina San Marco a difesa del Vallo da Sampierdarena a Bordighera[29]. Nel territorio di Celle e della vicina Vado le S.A.P. locali avevano recuperato armi da inviare ai partigiani in montagna e stavano cercando di persuadere alla diserzione gli alpini della San Marco con buoni risultati (alla fine saranno trecento quelli che si unirono ai partigiani liguri). I tedeschi controllavano stabilmente il territorio e non risparmiavano efferatezze di ogni sorta. Dopo l’assassinio della partigiana Clelia Corradini del 24 agosto, le S.A.P. decisero di passare ad azioni più determinate con rapide incursioni di piccoli gruppi [30]. La squadra di Valter prese contatti con le S.A.P. di Celle probabilmente per affiancare tali incursioni che si svolsero contemporaneamente in varie zone per seminare scompiglio nelle file nemiche.
Dopo lo sbarco alleato in Provenza per i nazifascisti il controllo armato del Piemonte e delle sue valli diventò ancor più strategico e cruento; paesi e borgate si illuminarono dei roghi appiccati alle case e si tinsero del sangue di partigiani e civili: l’estate del 1944 passò alla storia come “l’estate di fuoco”, ma anche come “l’estate di gloria”[31].
Doc. B6: s’occupò di stampa e propaganda clandestina (diffusione ed a mezzo affissioni).
La stampa dei volantini era curata da alcuni tipografi di Torino, come testimoniato dalle schede dell’ISTORETO che elencano almeno otto tipografi tra i collaboratori delle SAP DC. La propaganda era essenziale per contrastare i comunicati diffusi dal nemico e avvicinare la popolazione dei paesi e delle città alla Lotta di Liberazione. I civili che collaboravano con le SAP e rischiavano al pari loro di essere arrestati, costituivano una vasta rete che includeva varie professionalità; i collaboratori mettevano a disposizione dei partigiani, oltre alle tipografie, laboratori, garage, nascondigli, officine meccaniche, ma anche studi medici e infermerie senza i quali sarebbe stato impossibile per le SAP svolgere la propria attività. In quel periodo Valter conobbe anche Ado e probabilmente si avvalse delle sue competenze tecniche acquisite nell’esercito come artigliere; solo dopo la guerra scoprì il vero nome di Ado e il suo vero talento, la musica.
Doc. B Conclusione: Pur essendo nel luglio del ’44 ricercato dalle SS per la sua attività in montagna e nel gennaio del ’45 ricercato pure dall’U.P.I. di Torino, non abbandonò mai il suo posto, dimostrando insieme non comuni qualità di organizzatore e di comandante e accattivandosi la stima e l’affetto dei compagni di lotta.
I capi scoprirono in Valter grandi capacità organizzative e un talento particolare: sapeva ascoltare, capire le attitudini altrui e scegliere le persone giuste da avviare alle diverse attività. La sua autorità non derivava solo dai gradi, ma dall’innata gentilezza con la quale guadagnava a sé la stima e l’affetto dei compagni di lotta.
Il poco tempo a disposizione lo dedicava a discutere di politica con l’amico fidato Carlo. “Io sono un tenente della Regia Aeronautica – diceva – e rispetto la gerarchia, anche se non la amo[32]… e la politica la lascio fare ad altri”. Carlo era d’accordo: “Noi combattiamo e i politici discutono; noi carichiamo il fucile e loro intingono la penna”. Valter aggiungeva: “E combattiamo anche a fianco dei garibaldini”. Carlo annuiva e precisava: “D’altra parte i nostri comunisti non sono certo come quelli russi; in questi mesi i rossi si son fatti anche più ordinati, rispettosi … basta non pretendere che diventino troppo … militari. Quest’anno a Ceres pare che abbiano addirittura scortato il Cardinale per le cresime”[33]. E così i due amici finivano per sorridere anche dopo giornate piene di impegni e operazioni pericolose. Alla sera, senza obblighi di etichetta, tornavano ad essere ragazzini e si schernivano: “Ora dimmi, Carlo, chi tra un tenente come me e un povero sergente come te, ha più autorevolezza”. Carlo, raggricciando le spalle e allargando le braccia, gli rispondeva chiudendo la disputa: “Hic et nunc, ti dirò, nessuno dei due”.
Ma la sera troppo spesso era rattristata da notizie dolorose che non avrebbero mai voluto ricevere, come quando Valter, di ritorno da una riunione, sedendosi, cupo in volto, vicino a Carlo gli chiese: “Ti ricordi di Mario?[34]” “Chi, – ribatté Carlo, il figlio del poeta che era nella banda a Cumiana?”. Valter annuì “Lo hanno ammazzato sul Génévris. Era più giovane ma molto più temerario di noi”. Gravati di ricordi troppo pesanti sentivano di essere invecchiati in pochi mesi, di essere ormai dei vecchi ventenni.
Doc. C Premessa: Il sottoscritto [Angelo Tettamanzi[35]] dichiara che il S. Ten. Agostini Valter, di Feliciano, ha fatto parte delle formazioni “Giovane Piemonte” – poi “Torino” – in qualità di Vice-Comandante di Brigata dall’ottobre 1944 alla liberazione.
A ottobre 1944 passò ad una nuova formazione come Vice-comandante di Brigata. Anche in questo caso è arduo definire con certezza il nome della formazione, il Prof. Angelo Tettamanzi la indica con la denominazione di “Giovane Piemonte” – poi “Torino” – con cui vengono solitamente designate le formazioni operanti nelle Valli di Lanzo e nel Canavese, successivamente organizzate in 4 brigate dell’VIII div. autonoma Valle Orco. Per determinare la reale formazione ci viene in aiuto anche la scheda dell’ISTORETO che non segnala alcun cambiamento di formazione rispetto al periodo precedente. Valter rimase dunque nell’ambito della 2a Brigata SAP DC. che, come attestato, era designata in precedenza Divisione Torino[36]. Le attività di Valter elencate in Doc. C sono infatti in sostanziale continuità con quelle del periodo precedente e si svolgono nel rispetto di quel processo di “pianurizzazione” della lotta partigiana che si fa risalire proprio a questi mesi.
Doc. C1: Dichiara che il S. Ten. Agostini Valter fu inoltre incaricato per il rifornimento di armi e l’ampliamento dell’Ufficio Documenti Falsi. Come tale organizzò e guidò parecchi colpi di mano per il disarmo di elementi nemici e operò con una squadra di uomini per l’affissione notturna di manifestini clandestini di propaganda.
A ottobre 1944 Valter fu nominato vicecomandante di brigata e, in vista dell’insurrezione, venne incaricato di recuperare armi organizzando e guidando colpi di mano per disarmare elementi nemici. Proseguì anche l’attività di affissione notturna di manifestini e distribuzione di volantini di propaganda. È presumibile che gli incarichi affidati a Valter fossero legati soprattutto a quelli di Angelo Tettamanzi, professore di chimica al Politecnico di Torino[37], membro del CMRP e direttore dell’ufficio per i documenti falsi[38].
Preparare e stampare i documenti falsi e provvedere alla loro consegna era un incarico estremamente rischioso. I documenti venivano consegnati anche in Curia “che poi li consegnava a chi ne aveva bisogno”[39]. Un primo ufficio falsi fu scoperto e i partigiani presenti furono arrestati. Anche Carlo Ibolino fu arrestato mentre consegnava i documenti e deportato il 15 febbraio 1945. È presumibile che, dopo alcuni giorni di viaggio[40], fu portato nel campo di Bolzano (quartiere di Gries-San Quirino) dove vi rimarrà fino al 23 aprile[41]. Come già accennato lo stesso Tettamanzi fu arrestato e nel Diario di un due da briscola[42] la moglie Maria narrerà di quel difficilissimo periodo e di quanto fece per la liberazione del marito, riuscendo anche a recuperare per tempo nel suo studio torinese i timbri per la falsificazione dei documenti, che potevano essere una inconfutabile prova del coinvolgimento del marito nella Resistenza.
Doc. C2: Essendo pure collegato con il Servizio Informazioni Patrioti fornì utili informazioni.
L’attività clandestina gli consentì di prendere contatti anche con il Servizio Informazioni Patrioti, una rete, organizzata da Ennio Pistoi, tanto efficiente e capillare da essere poi assorbita dal Servizio Informazioni Militari del Nord Italia (SIMNI). La rete aveva a disposizione una radio cetrasmttente indispensabile per ricevere messaggi in codice destinati ai partigiani e comunicare lo stato dei partigiani incarcerati. È probabile che per avere utili suggerimenti sull’uso di specifiche strumentazioni tecniche Valter si rivolgesse anche ad amici fidati dell’Istituto G. Ferraris. Dopo una fortunosa scarcerazione Angelo Tettamanzi tornò nelle Valli di Lanzo dove il 26 aprile tratterà la resa incondizionata della Divisione alpina Monterosa repubblichina a Ceres e curerà il ristabilimento dei rapporti politici e istituzionali democratici[43]. Il Servizio Informazioni doveva anche individuare eventuali delatori e spie, distinguendo coloro che, pur avendo fornito informazioni al nemico, lo aveva fatto sotto pressione, prigionia e tortura[44].
Doc. C3: Prese parte ai combattimenti insurrezionali rimanendone ferito, come da dichiarazione allegata.
E venne il giorno dell’ordine cifrato “Aldo dice 26 per uno”. Il 26 all’una del mattino le formazioni foranee si attestarono lungo il perimetro della periferia torinese in attesa del comando di occupazione della città[45]. In città le SAP furono inviate a difesa della Fiat Grandi motori e dell’Eiar, per evitare che i tedeschi le saccheggiassero prima della ritirata[46]. All’alba del 27 aprile la 19^[47] e la 4^ brigata Garibaldi arrivarono alla Fiat per affiancare le SAP[48]. Valter prese parte ai combattimenti insurrezionali e il 27 venne ferito da una scheggia. Fu portato all’ospedale militare in un frastuono allucinante. Nella grande camerata una trentina di ricoverati. L’affluenza era continua, combattenti ma anche civili colpiti dai cecchini, alcuni in condizioni gravissime, i dottori, gli infermieri e i barellieri non si fermavano un attimo facendo del loro meglio per suturare le ferite e alleviare il dolore.
Il 29, di mattina presto, appena saputo del ricovero, papà Feliciano corse all’ospedale militare con l’angoscia nel cuore, percorse affannosamente la camerata odorante di alcol e tintura di iodio tra i lamenti di dolore e le richieste di aiuto. Valter lo vide e lo chiamò. Un breve abbraccio e uno sguardo lungo e silenzioso. Sorridendo gli si avvicinò e disse: “Ora devo andare. Più tardi, all’ora di pranzo, torno con la mamma”. Alle 12 Valter prese l’antidolorifico lasciato dall’infermiera per poter scender dal letto e, seppure a fatica, andare fuori, in corridoio: voleva risparmiare alla mamma la pena dei tanti lamenti che si levavano ininterrotti dalla camerata, le smorfie di dolore, l’odore, sempre più forte, di disinfettante. La mamma gli portò qualche dolce di Gerla, il papà due numeri de La Domenica del Corriere, non La Stampa che due giorni non era più in edicola[49].
Tornato in camerata e divisi i dolcetti con il letto accanto si sedette sulla coperta e iniziò a sfogliare senza troppa attenzione le riviste piuttosto datate quando d’un tratto scorse al di là della porta a vetri Carlo Ibolino, dimagrito e senza forze, aggirarsi nel corridoio. Fu come un regalo, il più bello; si rialzò e, un po’ barcollando per il dolore, lo raggiunse. Non si scambiarono molte parole, era sufficiente sapere che la loro amicizia potesse continuare. Qualche giorno dopo vennero dimessi entrambi e andarono verso casa in tram. Guardando distrattamente fuori dal finestrino Valter vide una Torino in festa e alcuni quasi montanari particolarmente allegri. Carlo notò il suo stupore e commentò sottovoce: “In questi giorni molti si vestono da montagna e girano per la città con scarponi sporchi e un fiasco in mano”. Valter non pareva sorpreso, ne aveva visti saltar fuori in parecchi dalle cantine cercando briciole di gloria, per poi tornare prontamente al riparo davanti alla battaglia cruenta che ancora infuriava. Ma la violenza non era finita, proseguiva, inutile, sempre feroce alle porte di Torino. Nell’ultima strage, il 30 aprile a Grugliasco, furono trucidati Don Caustico e 66 partigiani[50].
Il 6 maggio la città rese omaggio ai partigiani. Valter sfilò con altri militari del suo gruppo in via Napione verso Piazza Vittorio Veneto. La piazza era gremita di pubblico plaudente. Fu il giorno della gloria, o solo la fine di tante sofferenze mentali e fisiche, comunque l’inizio di una vita nuova, certamente migliore, ma forse non quella che i partigiani avevano sognato nelle rigide notti passate nelle baite degli alpeggi o sugli ammattonati delle stalle di periferia.
[1] Uno dei 1061 partigiani di origine campana che parteciparono alla Resistenza in Piemonte (Della Valle 2013, p. 72). La sua scheda ISTORETO riferisce genericamente della sua attività come ufficiale della 3° brigata SAP DC dal 9/9/1943. Una brigata che non ha riscontro nella bibliografia sull’argomento (sono attestate generalmente solo due brigate SAP DC): le schede dell’ISTORETO con questa denominazione risultano solo 4. Alla fine di settembre 1944 sarà incarcerato nella stessa cella di Ennio Pistoi, mentre suo figlio Guido diciannovenne prima incarcerato fu poi giustiziato come ricordato in una lapide in piazza Statuto (Pistoi 1997, p. 125,127,133).
[2] Altre fonti dicono gennaio 1944 (Chevallard 1995, p. 198, nota 20).
[3] Dolino 1989, p. 9 e Vottero Fin 1994, p. 42.
[4] Dizionario 2000, 1, p. 218-219.
[5] Dolino 1989, p.13; C. Colombini, in Bolaffi 2014, p.25.
[6] Dolino 1989, p. 26.
[7] Vaccarino 1968, p. 65 e seguenti.
[8] Vaccarino 1968, p. 75.
[9] Pavone 1995, pp. 42-44. Il dibattito sul confronto tra Risorgimento e Resistenza durò a lungo anche dopo la Liberazione. Pur accomunati da ideali analoghi, un elemento sostanziale li differenziava, il coinvolgimento sociale (Balloni 2001, p. 724).
[10] Nel neocostituito Comando generale per l’Italia occupata del Corpo volontari della libertà vennero rappresentate tutte le componenti politiche della Resistenza. In particolare, le formazioni che facevano capo alla DC furono rappresentate, prima, da Galileo Vercesi e, dopo la sua uccisione nella strage di Fossoli (12 luglio), da Bignotti, anch’esso arrestato poco dopo. La rappresentanza passò infine a Enrico Mattei.
[11] Vaccarino 1968, p. 61-62.
[12] N.R.I. 1946, p. 18.
[13] Chevallard 1995, p. 208, nota 35.
[14] Pistoi 1997, p. 124.
[16] N.R.I. 1946, p. 20.
[17] La stretta collaborazione tra Valter e Carlo Ibolino viene confermata da N.R.I 1946, p. 19.
[18] Moorehead 2020, p. 143-145
[19] Fusi 1974, p. 27.
[20] Tettamanzi 1977, p. 32-33. È una testimonianza preziosa il diario dal titolo prezioso il diario Diario di un due di briscola, scritto da Maria Cesaro (Napoli 1904-Volpiano 1997), moglie di Angelo Tettamanzi, antifascista e partigiana (si veda scheda su di lei in Biografie, Archos, Sistema integrato dei cataloghi d’archivio (consultato il 17/3/2024).
[21] N.R.I. 1946, p. 19.
[22] Pistoi 1997, p. 111.
[23] Sono magistrali la sua introduzione e il suo Commento al Libro di Isaia (1.ed. L.I.C.E. – Tipografia Pontificia 1942, Edizione Effedieffe, Proceno 2017).
[24] Girotti è uno dei 20 sacerdoti piemontesi fucilati o morti in campi di sterminio. L’elenco in Bianchi 2011, p. 71 non include i sacerdoti di cui non si ebbe più notizia dopo la Liberazione. In ricordo della probabile collaborazione di Valter con padre Girotti alcune video letture delle poesie di Valter sono state organizzate, grazie alla collaborazione di Padre Paul, proprio nella chiesa di San Domenico.
[25] Tettamanzi 1977, p. 122.
[26] Tettamanzi 1977, p. 94: l’arresto avviene all’inizio del 1945 (la scheda dell’Istoreto non ha traccia dell’arresto).
[27] Il Doc. B, al punto 3, ricorda come l’ufficio fu scoperto dall’UPI. Si tratta probabilmente dello stesso evento di cui si parla nel diario della moglie di Angelo Tettamanzi (Tettamanzi 1977) dove si narra di come lei, dopo l’arresto del marito, si recò a Torino, presso il suo studio in via Vassalli Eandi per recuperare tutti i documenti falsi.
[28] G. Barbera, “Bunker e fortificazioni, nuove inedite scoperte sulle colline intorno a Vado Ligure”, in IVG 23 novembre 2015 (risorsa online visitata il 24/2/2025).
[29] Dizionario 2000, vol. 2, p. 63.
[30] Lunardon 2005, p. 172.
[31] Morehead 2020, p. 219.
[32] Negli anni a seguire diventò insofferente alla gerarchia. Quando al Comune di Torino gli affidarono presidenza del CRDC e, più tardi, la direzione dell’anagrafe centrale non abusò mai della sua posizione, anzi si mise al servizio dei colleghi per risolvere qualsiasi questione tecnico-amministrativa. Al suo pensionamento molti messaggi dei colleghi misero in evidenza questa sue qualità e la sua avversione per la gerarchia.
[33] Tettamanzi 1977, p. 37-38.
[34] Mario Costa, figlio del poeta dialettale Nino Costa. Cadde ad agosto sotto il fuoco nemico sul monte Génévris (Trabucco 2015 p. 127, Avondo 2013, p.99, Groppo 1990, p. 52-55)
[35] Soprannominato “Cherubino” (Geuna 1977, p. 82).
[36] Vottero Fin 1994, p. 130, Lottero 2017, p. 22; 50 anni 2017, p. 12; Regione 1995, retro frontespizio. Si ritiene doverosa questa precisazione che trova conferma anche nelle schede ISTORETO di molti altri partigiani.
[37] Annuario del Politecnico di Torino, 1954-55, p. 49.
[38] Geuna 1977, p. 82.
[39] Intervista a Gino Baracco in Crivellin 2000, p. 38.
[40] Chiodi 1975, p. 62-68.
[41] Scheda ISTORETO di Carlo Ibolino e N.R.I. 1946, p. 23
[42] Tettamanzi 1977.
[43] Boccalatte 2006, p. 207.
[44] Franzinelli 2001, p. 214.
[45] Si veda la testimonianza di Gino Baracco in Crivellin 2000, p. 43.
[46] Pistoi 1997, p. 140.
[47] Carmagnola 2005, 187-188.
[48] De Leonardis 1987, p. 436.
[49] La pubblicazione de La Stampa, obbligatoriamente allineata alle posizioni fasciste, fu sospesa il 26 aprile 1945. La pubblicazione riprese il 18 luglio.
[50] Bianchi 2011, p. 69-71.