Gli ideali e la realtà.

Come molti altri, Valter aveva cercato di essere un bravo militare, fedele al giuramento; aveva difeso la patria dal nemico, anche se “in corso d’opera” il nemico era cambiato e aveva dovuto combattere anche contro chi avevano confuso la patria con il fascismo. Ora la sua vita non era quella di un comune cittadino, ma di un ex combattente senza gloria. Era quella di un reduce di una guerra fratricida, ingarbugliata, forse vinta, se  vittoria e sconfitta avevano ancora un senso. Si sentiva svuotato eppure con una rabbia in corpo che non riusciva ad esprimere neppure agli amici più fedeli come Carlo e Nuccio. Per questo motivo finirà per mantenere per sé il ricordo di quei 14 mesi in cui aveva dato tutto se stesso per resistere e soprattutto per esistere.

E la rabbia s’accresceva vedendo per strada tanti falsi partigiani e ascoltando i politici che esaltavano la Resistenza quasi l’avessero realmente vissuta di persona. Quelli di Valter erano sentimenti comuni a molti partigiani e non mancherà chi, come Gino Rostan, saprà esprimerli a chiare lettere: “Dopo la liberazione, durante una commemorazione in onore dei Caduti nel cimitero di Pinasca, si alternarono due oratori: il primo ricordava Rocco[1] come militante comunista, mentre il secondo lo esaltava come democristiano. Mi amareggiò che i nostri caduti diventassero oggetto di propaganda politica in favore di persone che, durante quel periodo, si erano tenute ai margini o, addirittura, erano contrarie alla lotta partigiana. Purtroppo questo fatto si manifestò negli anni successivi anche a livello nazionale”[2].

Il 19 luglio 1945 si presentò al Posto Raccolta di Torino dove venne collocato in congedo a decorrere dal 30 giugno.

Da quando aveva varcato, per la prima volta, la soglia del Posto Raccolta era passato un periodo relativamente breve, due anni e mezzo, che però gli pareva ora infinito tanto gli aveva consumato forze fisiche e mentali. Il periodo dall’8 settembre 1943 al 30 giugno 1945 gli venne riconosciuto come servizio militare; non fu di gran consolazione ma rappresentò un punto fermo dal quale ripartire. Ripartire significava anche chiudere in un cassetto l’esperienza da militare prima e da partigiano poi.

Due anni dopo la Liberazione Valter presentò la domanda di riconoscimento della sua attività di partigiano al comando Militare Regionale Piemontese (Ufficio certifica qualifiche partigiane), allegando, tra le altre, le dichiarazioni che ci sono servite per ricostruire il suo periodo di partigianato. Il lavoro di valutazione della Commissione regionale Piemontese per l’accertamento delle qualifiche partigiane[3], presieduta da Alessandro Trabucchi, già comandante del C.N.L. Regionale Piemontese[4] sarà molto lungo e meticoloso perché il decreto luogotenenziale n. 518 dell’agosto 1945 imponeva uno spirito di «rigorosa severità» in quanto i riconoscimenti costituivano innanzitutto «prezioso titolo di onore». [5]

La commissione approvò la domanda presentata da Valter e la sua scheda, con i dati salienti della sua attività,  è tuttora presente nella “Banca dati del Partigianato piemontese” dell’ISTORETO e nell’archivio nazionale “I Partigiani d’Italia” della Direzione Generale Archivi (dove erroneamente compare con il nome di Walter[6], basato sulle informazioni della scheda cartacea). Le formazioni di appartenenza riportate nelle schede ufficiali, pur avendo come fonte le dichiarazioni presentate da Valter, sono indicate in forma più sintetica e fanno riferimento, come già accennato, a un inquadramento più ufficiale e strutturato. Nel 1969 riceverà l’autorizzazione a “fregiarsi del Distintivo della Guerra di Liberazione” e la “Croce al merito di guerra”, mentre nel 1984 gli sarà recapitato il “Diploma d’onore al combattente per la libertà d’Italia 1943-1945”.

Non partecipò mai alle rievocazioni anche perché, scioltosi il collante rappresentato dal comune nemico, emersero ben presto le diverse anime politiche e sociali della Resistenza.

Le associazioni partigiane. Nel dicembre 1947  uscirono dall’ANPI le componenti cattoliche che si riunirono nell’Associazione Nazionali Partigiani cristiani, fondata da Enrico Mattei[7], e i liberali che diedero vita alla FIVL (Federazione italiana volontari della libertà) e nel gennaio 1949 alla FIAP di area azionista.

Valter si dispiaceva di questa frammentazione perché la Resistenza fu una lotta per la libertà e per la patria a cui parteciparono, in pari grado, tutte le forze e i movimenti politici che credevano nella democrazia[8].

A questo proposito Norberto Bobbio dirà: “Non amo le commemorazioni, perché difficilmente ci si può sottrarre alla tentazione della retorica, della effusione sentimentale, della mozione degli affetti. E non amo in particolare le commemorazioni della Resistenza perché si commemorano volentieri cose lontane e morte, e invece la Resistenza è vicina e ben viva. La Resistenza non è finita”.[9]

Iniziò così per Valter un lungo cammino per reinserirsi nella vita sociale, nel mondo del lavoro, cercando un futuro, un suo futuro, anche se  già si prospettava molto diverso da quello che avrebbe sperato e per il quale aveva combattuto. Fecero da allora capolino l’inquietudine e l’insofferenza che segneranno spesso in seguito le sue scelte lavorative. Molti anni dopo ammetterà: “ho cambiato spesso impegni di lavoro … come un avventuriero nel mondo”[10] .

Nel 1946 rientrò all’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” nella Sezione telefonia del Reparto Comunicazioni come assistente del brillante matematico Giovanni Zin (1913-1969) e collaborò anche alla ricerca a carattere nazionale “Esperienze sull’interazione con risonanza fra radioonde nella ionosfera”, pubblicata[11] nella Rivista scientifica Alta frequenza [12]. Nel contempo riprese anche gli studi universitari a Ca’ Foscari, Facoltà di Magistero.

Solo all’apparenza era un ripristino della sua vita d’anteguerra.  Era finalmente a casa e alla sera sul tavolo della cucina di via Madama Cristina 77 apriva il giornale e lo leggeva quasi interamente. Leggere del presente non lo salvava comunque dai vividi ricordi della guerra che veloci si rincorrevano nella mente; aveva combattuto ma senza armatura e a tarda notte una profonda angoscia lo tratteneva nella veglia e neppure leggere e rileggere i pochi libri di casa serviva a dar tregua all’insonnia; l’eco dei proiettili letali, il gelo paralizzante della paura, gli errori pagati e la paura di quelli che lo attendevano emergevano con forza senza censure, senza attenuanti. Iniziò così a scrivere perché qualcosa doveva pur fare per esprimere quello che non sapeva o non voleva manifestare; invase fogli bianchi e il retro degli stessi affidando ad essi sensazioni ed emozioni, senza sfumarne i contorni. Questa fu la sua via d’uscita per convertire la sofferenza in speranza. A quei fogli affidava anche i primi versi, perché la poesia gli pareva esprimere meglio l’autenticità e l’asprezza dei ricordi,  senza doverne spiegare i motivi e le conseguenze; erano poesie sofferte, abbozzate, poi limate minuziosamente e a lungo perché potessero essere egualmente vivibili anche da un ipotetico lettore.

Come osserva Deven nel romanzo In custodia  di Anita Desai[13]: “Ecco la gloria dei poeti, esser capaci di distanziare eventi ed emozioni, di porli dove la prospettiva permetteva un esame chiaro e sereno della situazione. Si accorse di amare la poesia non perché rendesse le cose immediate, ma perché le allontanava dislocandole in una posizione in cui diventavano più tollerabili”. 

E furono tutta poesia anche le lunghe lettere indirizzate a Mariuccia (la sua Mariuccia, per la vita), conosciuta a inizio giugno 1946 alle elezioni, dove entrambi erano scrutatori. Con lei condivideva paure e speranze. Mariuccia gli parlava a lungo del fratello, campione di ciclismo, morto in guerra senza neppure combattere e gli confidò di non riuscire a dormire nelle notti piovose quando i tuoni e i fulmini la riportano ai terribili bombardamenti sulle officine della S.P.A. dove lavorava. 

Valter si tenne lontano dalle commemorazioni ma quella di cui gli parlava da qualche tempo Giuseppe Costamagna non era come tante altre. E il 29 giugno del 1946 con Giuseppe e Carlo Ibolino raggiusero il Gran Dubbione dove fu scoperta sulla parete frontale della chiesa una lapide in ricordo dei drammatici fatti del maggio 1944. Tra gli interventi anche quello di Giuseppe, delegato dei Giovani della Democrazia Cristiana, tutto improntato agli ideali di onestà e giustizia sociale che il partito avrebbe dovuto incarnare[14].

Nel 1950 Valter lasciò il poco remunerativo incarico all’Istituto “Galileo Ferraris” per entrare come impiegato nell’ufficio della Ditta Giuseppe Del Gobbo, specializzata nella lavorazione dell’acciaio e attiva almeno dal 1937[15]. In breve tempo diventò l’uomo di fiducia dei coniugi Elvira Viale e Giuseppe Del Gobbo, che, come era uso all’epoca, seguiva, con Mariuccia, anche ai pranzi e ai ricevimenti ufficiali o nelle serate “mondane” organizzate nelle eleganti sale da ballo del centro o ancora alla Bocciofila “La Tesorina” dove i coniugi Del Gobbo erano soliti  intrattenersi con gli amici e giocare a canasta.


[1] Rocco Galliano, fucilato a Rivoli per rappresaglia il 25 febbraio 1945.

[2] Rostan 2019, p. 33.

[3]www.partigianiditalia.beniculturali.it/commissioni/

[4]Trabucco 2015 p. 228. Geuna 1977, 86-87.

[5]www.partigianiditalia.beniculturali.it/commissioni/

[6] Inesattezza già segnalata. Il Doc. E1 è stato scaricato il 24.1.2024.

[7] Bianchi 2011, p. 31.

[8] Bongioanni 1965, p. 16.

[9] Bobbio 2015, discorso di giugno 1955.

[10] Agostini 1991, p. 11.

[11] Alta frequenza, giugno 1946, p. 111-117.

[12] Giancarlo Vallauri fondò Alta frequenza nel 1932 e la diresse per il resto della sua vita. La rivista, primo periodico sulle telecomunicazioni pubblicato in Italia, si affermò anche all’estero ed ebbe un ruolo decisivo nella diffusione dei risultati della ricerca scientifica di settore (Treccani, Dizionario Biografico degli italiani, vol. 98, 2020).

[13] Anita Desai, In custodia, Torino, Einaudi, 2000, p. 53-54.

[14] Eco del Chisone, 6 luglio 1946. Cit. in Prot 2021, p. 108-109.

[15] La Ditta – un’agenzia di rappresentanza in campo siderurgico – aveva sede a Torino, in via Volta 5 (Guida Industriale e commerciale, 1937, p. 14), poi in via Governolo 1 (Annuario Generale d’Italia e dell’Impero Italiano, 1937-38, 1939, p. 11). Negli Anni Cinquanta la sede era in corso Matteotti 42 (Ingegneria Meccanica, Milano, Etas Kompass, 1956, vol. 5, p. V).