La guerra e la vita non vissuta.

A scuola pochi gli echi dell’occupazione della Cecoslovacchia da parte della Germania e dell’Albania da parte dell’Italia, prodromi del conflitto che verrà. Vasta eco ebbe invece la morte di Pio XI (10 febbraio 1939), il Papa che, spesso in disaccordo con la maggior parte dei vescovi[1], aveva cercato di mantenere le distanze dal fascismo, aveva tentato di difendere il ruolo sociale dell’Azione Cattolica e aveva denunciato il nazismo nell’enciclica Mit Brennender Sorge (“con viva ansia”): “Se vi è cosa che Noi imploriamo dal Signore con particolare fervore, essa è che le Nostre parole pervengano anche all’orecchio e al cuore di quelli che hanno già cominciato a lasciarsi prendere dalle lusinghe e dalle minacce dei nemici di Cristo e del suo santo Vangelo, e li facciano riflettere.”.[2]

L’anno scolastico successivo, 1939/40, iniziò a guerra già scoppiata tra la Germania e gli alleati Franco-Inglesi.  Alla sera Teresa, come raccomandava la radio, poneva con cura gli scuri alle finestre. Valter l’aiutava mentre Feliciano, stanco e debilitato da una recente operazione, si preparava ad andare a dormire. Teresa si riprometteva di cucire per benino con la sua Singer, acquistata recentemente di seconda mano, delle tendine nere come quelle di altri coinquilini, ma si trattava solo di esercitazioni e in quel momento andavano benissimo anche i riquadri di cartone che Valter aveva ritagliato con cura per ogni finestra. Terminata l’operazione ululavano le sirene e, contravvenendo alle norme, alcuni curiosi in strada si godevano lo spettacolo dei fari delle fotoelettriche e di una strada affatto spettrale dove anche i pochi lampioni erano stati oscurati.  Il 10 giugno 1940 anche l’Italia scese in guerra. Nella notte del 12 giugno le 57 sirene d’allarme svegliarono Torino. “È la solita esercitazione” pensarono in molti. Le sirene interruppero bruscamente il sonno leggero di Teresa e un convulso vociare per le scale la fece alzare dal letto quasi d’impeto. “Cosa succede? Un’esercitazione a quest’ora?” chiese a Feliciano alzandosi e avviandosi velocemente verso la porta. Feliciano accese una candela e la raggiunse: l’orologio a pendolo segnava quasi l’una e mezza. La dirimpettaia terrorizzata gridava “Nosgnor. Andoma an cròta. A son arivà”. Feliciano corse a svegliare Valter; non ebbe il tempo di socchiudere la finestra per guardare in strada che tuonarono le bombe sganciate dai bimotori Whitley. Papà Feliciano ex “cannoniere scelto” tornò repentinamente col pensiero alla detonazione terrificante dei pezzi da 381/40 mod.1914 che aveva usato in Marina: i suoi timpani erano stati lesi e da allora alcuni suoni gli giungevano a stento o gli sfuggivano come piume al vento. Le poesie che aveva dedicato al mare da allora non avevano più come sottofondo lo scialacquio delle onde ma l’immane fragore dei cannoni. Per questa ragione amava i viaggi in treno piuttosto che quelli in mare. Del suo quaderno di poesie non se ne seppe più nulla dopo la guerra, forse perduto, forse abbandonato per strada come si fa con i fardelli troppo pesanti.

Feliciano chiuse affannosamente la porta per seguire gli altri in cantina. Teresa si voltò un attimo per assicurarsi che anche Valter li stesse seguendo e per riprendere Feliciano che stava borbottando qualcosa come “Non cresciamo i figli per mandarli alla guerra”.

Il primo bombardamento. Il bersaglio dei bombardieri erano gli stabilimenti industriali di Mirafiori, ma sui bimotori britannici le strumentazioni erano antiquate[3] e, non essendo possibile individuare con precisione l’obiettivo, le bombe vennero sganciate su un’area molto più vasta senza curarsi di eventuali danni collaterali. Ciò che in pace è proibito in guerra è consentito e forse auspicato, ciò che in pace è criminale in guerra è strategico. Quella notte il primo civile cadde in via Priocca, distante 8 km da Mirafiori. Il giorno dopo si conteranno nelle strade 17 cadaveri e 40 feriti e il Comune si impegnerà a pagare totalmente le esequie, forse per farsi perdonare la pessima organizzazione dell’antiaerea: ufficialmente, non vennero sparati  proiettili traccianti perché gli aerei erano troppo alti, ma a molti sorse il sospetto che in realtà al posto di combattimento della DICAT (Difesa antiaerea territoriale) quella notte non vi fosse anima viva[4].

Le scuole vennero chiuse. La III C non potrà sostenere gli esami di fine anno[5] e otterrà l’abilitazione magistrale sulla base dello scrutinio del terzo trimestre (riporterà quindi la data del 31 maggio 1940)[6].

Anche l’attività della segreteria della GIAC mutò decisamente obiettivi per rispondere alle nuove esigenze della guerra in corso: si organizzarono messe, rosari, incontri di preghiera e altre pratiche devozionali in onore di chi stava partendo o era già partito per il fronte.

Pio XII raccomandava agli iscritti dell’Azione Cattolica “la leale e coscienziosa obbedienza” alle autorità civili. Gli faceva eco il presidente della GIAC, L. Gedda[7], che esortava i giovani dell’Azione Cattolica a “servire fedelmente e con letizia la Patria che è servire Dio e i suoi disegni”. La GIAC cercava di essere vicina ai propri iscritti al fronte con l’invio, tramite i cappellani militari, di giornali, libri e opuscoli di preghiere e meditazione[8].

I bombardamenti della RAF ripresero ad agosto (nelle notti del 14 e 27) e proseguirono con altre 5 incursioni fino a dicembre. Ogni bombardamento era preceduto da lanci di volantini che rappresentavano, con Radio Londra, la prima comunicazione di massa, libera dai condizionamenti del regime[9].

A ottobre, i bombardamenti sembrarono risparmiare Torino e Valter decise di iscriversi a Magistero presso l’Università Ca’ Foscari, che era una delle poche università dove le lezioni non erano state sospese perché il centro storico veneziano era stato risparmiato dai bombardamenti. Tra i corsi frequentati Valter rimase particolarmente affascinato da quello di filologia romanza tenuto dal Prof. Alfredo Cavaliere[10].  A Venezia era ospitato dagli zii Ercolina e Pinotto e in varie occasioni conversò a lungo con il cugino Don Felice, classe 1915, insegnante di Lettere presso il Seminario Patriarcale di Venezia dal 1938.  Parlavano di letteratura, delle iniziative dell’Azione Cattolica e naturalmente della guerra. Valter fu colpito dal carattere forte del cugino; ne ammirava il coraggio e l’altruismo, la dedizione al dovere e la pacatezza con cui affermava “La vita non deve essere una passeggiata aspettando il domani, bisogna combattere quotidianamente per difendere le proprie idee”. Pur essendo stato riformato a causa di una menomazione visiva, Don Felice confidò a Valter di voler andare comunque al fronte per stare vicino a chi combatteva e soffriva.

Stavano camminando per le calli quando Don Felice si fermò per salutare un giovane prete; “vieni Valter ti presento un mio compagno di seminario, Don Loris Francesco Capovilla”; Valter, pur nella brevità dell’incontro, fu colpito dalla serenità di quel prete che poi avrà modo di conoscere meglio a Parma al corso allievi ufficiali.

Le conseguenze, anche economiche, della guerra non si fecero attendere. Il costo della vita aumentò enormemente erodendo in misura significativa il reddito familiare. L’inflazione, che negli anni 1936-39 era stata mediamente del 6,5% annui, ebbe con la guerra un’impennata toccando nel 1940 il 16% e nel 1941 il 15%. Le retribuzioni nel 1942-43 scesero, poi, a un livello così basso da mettere a rischio la sussistenza della gran parte delle famiglie[11].

Per aiutare i genitori, Valter trovò lavoro presso l’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” nella Sezione telefonia del Reparto Comunicazioni che dal 1° agosto era diretta dal brillante matematico Giovanni Zin (1913-1969)[12]. Il nuovo lavoro lo affascinava.

L’EIAR. Le ricerche sulle comunicazioni erano, in quel periodo, in continua evoluzione e avevano conosciuto un balzo in avanti significativo soprattutto dal 1929, anno a cui risalgono le prime trasmissioni sperimentali dell’EIAR dall’Eremo[13]. Nel 1932 gli esperimenti avevano suscitato anche la curiosità di Umberto e Maria José[14]. Di ritorno dalla visita ufficiale alla prima Mostra della Meccanica, ospitata nel Palazzo del Giornale[15], attraversarono corso Massimo d’Azeglio per recarsi al Palazzo dell’Elettricità (futuro Istituto Galileo Ferraris) e visitare lo studio dove si svolgevano le prime riprese televisive. Non chiesero solo di visitare lo studio ma anche di partecipare come attori a una ripresa televisiva.

Il 3 febbraio 1941 Valter venne chiamato alla visita di leva e, sempre con l’intento di aiutare economicamente i genitori, presentò domanda per essere ammesso al corso allievi ufficiali.

Fortunatamente i bombardamenti su Torino si ridussero; in tutto il 1941 si contarono solo 2 incursioni, il 13 gennaio e il 10 settembre. E anche per i primi nove mesi del 1942 non vi furono importanti incursioni sulla città. Ripresero però alla fine di ottobre 1942 e lo fecero con una frequenza e una potenza di fuoco inaudita. Tra novembre e dicembre vennero sganciate su Torino 1444 tonnellate di bombe che causarono 651 morti. Su 700.000 abitanti, gli sfollati crebbero  ben presto a 250.000. Fu Valter stesso a insistere perché la mamma lasciasse Torino e ad accompagnarla dai parenti ad Alessandria. Anche altri coinquilini si trasferirono fuori Torino.

Gli sfollati. Tra le molte drammatiche narrazioni riportiamo quella di Carlo Chevallard “L’esodo dalla città ha assunto proporzioni che superano ogni immaginazione: qualunque mezzo è buono, dall’autocarro al triciclo, dal carro alla bicicletta. Signore in pelliccia sedute su carri, donne in bicicletta con caricata una coperta e qualche masserizia indispensabile, è una confusione generale di tutti i ceti sociali, riuniti da un unico comune denominatore: il panico”[16]. E quella di Valdo Fusi “Sino alle cinque del pomeriggio qualcuno sorride a Torino. Dopo, negozi e facce si chiudono. Incombe il terrore delle incursioni aeree. Chi può sfolla in campagna, chi non può smette di sorridere”[17].


[1] Leoni 2022, p. 28.

[2]https://www.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_14031937_mit-brennender-sorge.html (consultato il 7/12/2021).

[3] Servetti 1997, p. 11-12

[4] Leggendo il Diario dell’Istituto Lorenzo Prinotti, 1940. ASCT, Fondo Prinotti cart. 31 fasc. 11, 9, pp. 77-78. © Archivio Storico della Città di Torino, https://www.museotorino.it/view/s/5e47dd22f27f4cbeb702fd1f0cfa59fe (Consultato il 3/1/2022). 

[5] Arciciock 1990, p. 31.

[6] Arciciock 1990, p. 33.

[7] Luigi Gedda fu presidente della GIAC dal 1934 al 1946. A lui si deve la ristrutturazione organizzativa della GIAC che racchiudeva tre movimenti in base all’età, Aspiranti, Juiores e Seniores, e due per categoria, lavoratori e studenti. La struttura piramidale andava dalle parrocchie alle diocesi, dalle regioni agli uffici nazionali. L’unità della complessa struttura era garantita dai canali informativi, dai periodici e dai sussidi didattici, preparati e diffusi dagli uffici nazionali e rigidamente controllati dal presidente e dal consiglio di presidenza (Piva 2015, p. 274).

[8] Piva 2015, p. 274-275.

[9] Aimino 2014b, p. 21-22. Complessivamente dall’inizio della guerra fino alla Liberazione su Torino si liberarono del loro carico distruttivo 2154 aerei (solo 15 furono abbattuti). I morti furono 2069, i feriti 2695.

[10] Cinque G., “Gli insegnamenti di linguistica a Ca’ Foscari (1920-2018)”, in 2. Le lingue occidentali nei 150 anni di storia di Ca’ Foscari,  A. Cardinaletti, L. Cerasi, P. Rigobon, Venezia, Ca’ Foscari digital publishing, 2018, p. 213-224 (in part. p. 214).

[11] Paglia 2014, p. 461.

[12] Ravagnani U., “Il Prof. Giovanni Zin”, Aureos, Notiziario degli amici di Montebello, 31 dicembre 2020.

[13] Bassignana 2014, p. 51.

[14] Bassignana 2014, p. 111.

[15] Il Palazzo del Giornale fu costruito in occasione dell’Esposizione internazionale delle Industrie e del Lavoro del 1911; nel 1928 venne rimaneggiato e utilizzato come Palazzo della Seta, nel 1933 venne ampliato per ospitare l’Ente Nazionale della Moda, nel 1938 diventò Palazzo delle Esposizioni prima di essere ridotto a informi macerie dai bombardamenti. L’attuale innovativa struttura architettonica è opera di Pier Luigi Nervi. Sotto le sue straordinarie arcate si svolsero Fiere prestigiose, come i Saloni dell’automobile e della tecnica, e la prima edizione del Salone del libro (1988).

[16] Chevallard 1995, p. 27.

[17] Fusi 1974, p. 36.