Dopo la complessa fase di ricostruzione, a Torino, come nel resto d’Italia, crebbe la voglia di svago e fu la musica dal vivo a offrire il miglior viatico per dimenticare anni difficili e troppo bui. Era una musica allegra, incalzante, quasi inebriante. Le piccole sale per ascoltare jazz furono presto soppiantate, quasi in ogni quartiere di Torino, da vere e proprie sale da ballo, con il palco per l’orchestra, la pista da ballo e i tavolini a poca distanza perché gli impianti di amplificazione erano ancora poco efficienti. In centro città, tra le più rinomate vi erano La Rotonda e la Pagoda al Valentino, il Trocadero, il Castellino, l’Hollywood (poi Du Parc). In Borgo San Paolo c’era la Serenella, in borgata Parella il Fassio Café Chantant. E poi ancora il Principe di via Principe d’Acaja, lo Chalet del Valentino, il Lutrario di via Stradella, la sala De Benedetti, lo Splendor di corso Lecce, il Fortino di via Cigna, il Faro di via San Massimo. Nella stagione estiva si ballava anche nella pista all’aperto dei Giardini Reali. La musica delle sale, spesso trasmessa anche in diretta radiofonica[1], seguiva i ritmi scatenati più in voga all’epoca: samba, conga, rumba, beguine, bolero, bajon, fox-trot, boogie-woogie, paso doble[2], cha-cha-cha e swing ballabile[3]. Alcune sale da ballo erano il frutto della ristrutturazione di vecchie palestre fasciste[4], altre risalivano agli Anni Trenta.
“Ecco l’antidoto al frastuono dei ricordi. La musica è la vendetta della vita sulla guerra”, gli disse Carlo una sera, con tono cattedratico, avviandosi al Lutrario. Fu in una di quelle serate che incontrarono Ado, che aveva combattuto con loro nelle Brigate SAP DC. Ado, all’anagrafe Adolfo Rossi: in guerra artigliere, in pace un musicista e un valente compositore. Una sera, prima di unirsi all’orchestra, gli disse quasi distrattamente: “Qui c’è fame di testi intelligenti ma appassionati, allegri e, se vuoi, anche allusivi. Si guadagna bene e questo non guasta. Provaci!”.
Valter iniziò a esercitarsi con versi, rime e ritmo. Ado gli presentò molti altri musicisti-compositori e, fra tutti Valter, trovò una particolare sintonia con Carlo Francesco Gaito.
Carlo Francesco Gaito (1900-1975). Figlio di un organista, durante il fascismo aveva composto operette, diretto un coro, lavorato come consulente radiofonico per la SIPRA e per l’EIAR; nel dopoguerra, spesso con lo pseudonimo di «D’Alpian», scriverà ballabili e jingle pubblicitari (sua è la samba “Nel paese di Cynar”, per il famoso spot radiofonico)[5]. Più avanti si cimenterà anche in performance d’avanguardia, estremamente coraggiose accostando le note dei violini ai rumori degli oggetti di uso comune come cacciaviti, campane, motorini elettrici, incudini, cubilotti, tubi, lamiere, timpani, xilofoni d’acciaio. La curiosa orchestra debutterà il 24 maggio 1960 al Teatro Alfieri e nell’occasione i giornali ne diedero notizia, non senza una velata ironia, con il titolo fu “Sfida infernale-musicale tra i violini e le incudini” [6].
Con Gaito Valter scrisse 13 canzoni che diventarono ben presto la colonna sonora di molte sale da ballo, anche al di là dei confini del Piemonte. Una della più celebri rimarrà “Asdrubale”[7] nella versione che ne diedero i Radio Boys registrata in un 78 giri della Fonola[8].
I Radio Boys. Negli Anni Quaranta, mentre a Milano e a Roma si stava affermando il Quartetto Cetra, a Torino a farsi apprezzare erano proprio i Radio Boys, otto ragazzi che di giorno lavoravano in fabbrica e di sera studiavano canto alla RAI con il M. Carlo Prato. Il loro cavallo di battaglia era “Ciao Turin”, scritta da Luigi Lampignani (noto anche con il soprannome di “Lampo”) autore di trasmissioni dialettali a Radio Torino. “Ciao Turin” era la canzone dell’emigrante che lascia la terra natia, sognando però di tornare, come la genovese “Ma se ghe penso” (M.Capello-A.Margutti, 1925). Dopo la tragedia di Superga, “Ciao Turin” diventerà anche uno struggente addio al Grande Torino[9]. Nonostante il successo alcuni componenti del gruppo preferirono uscirne per tornare al più sicuro lavoro in fabbrica. All’epoca della registrazione di “Asdrubale” il gruppo era costituito da Cosimo Gilè (1930-2018), Enrico Alfiero, Alfredo Forlani, Aldo Prandi, Sergio Ponalini. I cinque giovani venivano utilizzati soprattutto come coristi di artisti famosi sia alla radio sia in sala d’incisione. Nel 1954 vinsero il Concorso della Canzone Veneziana cantando con Jula De Palma “Marieta monta in gondola”. Nel 1955 parteciparono alla quinta edizione del Festival di Sanremo – la prima trasmessa dalla televisione – come coristi di diversi cantanti. Arrivarono terzi con “Canto nella valle”. L’avventura artistica dei Radio Boys durò circa un decennio, fino al 1956[10].
L’anno 1951 fu particolarmente intenso e prolifico. Risalgono infatti a quest’anno 17 sue canzoni, otto delle quali pubblicate nella Raccolta di ritmi e canzoni, stampata a Torino dai Fratelli Amprimo per la casa Musicale Giuliana di Trieste (Edizioni Fabbri). A curare la Raccolta fu il musicista Secondo (Dino) Arrigotti (chiamato Rigo) (1923-2014) che, prima di diventare (dal 1954[11]) il fedelissimo pianista di Fred Buscaglione e dei suoi Asternovas, componeva canzoni sui ritmi dell’epoca e curava talvolta egli stesso la pubblicazione degli spartiti.
Valter collaborò anche con Felice Abriani, noto violinista, banjoista, fisarmonicista, arrangiatore e compositore. Con lui scrisse “Per Giove”, un testo semplice e gioioso ricco dell’immancabile swing.
Felice Abriani (1902-1974) aveva iniziato la sua carriera negli Anni Venti con il fratello Giovanni (John) (1898-1960) suonando nei cafè concerto di San Gallo in Svizzera; poi in Germania, dove i due fratelli formarono con alcuni musicisti tedeschi una tra le prime band specializzate in una musica sincopata di ispirazione jazzistica che combinava ritmi ballabili e jazz classico. Dal 1925 la band tenne regolarmente concerti in Italia, in Germania, in Svizzera e persino in India. I fratelli tornarono in Italia nel 1934 e ci piace immaginarli tra il folto pubblico accorso il 15 e il 16 gennaio del 1935 al Teatro Chiarella di Torino, via Principe Tommaso 6, ad ascoltare Louis Armstrong.[12] Quando nel 1936 Giovanni tornò in Germania, Felice proseguì la carriera in Italia, entrando nel 1938 nell’orchestra di Pippo Barzizza (1902-1994) e, dopo la guerra, come violinista nelle orchestre della RAI di Torino. Numerose sono le sue composizioni musicali, tra gli altri, tre brani cantati dal Trio Lescano (“Canto hawaiano”, “Caro Camillo” e “Signorina Ticchetì”)[13]. Suo era anche “Argentina” cantato da Gigi Beccaria, cantante noto innanzitutto per “Dove sta Zazà” ed “Eulalia Torricelli”.[14]
La richiesta di testi si fece pressante e crescente anche dall’estero[15]. Per soddisfarle tutte passava lunghe notti al lavoro e il sabato era spesso destinato alle prove con i musicisti-compositori, un tour de force, ma, come gli aveva preannunciato Ado, molto remunerativo[16]. Mariuccia ne era fiera, e spesso insieme canticchiavano “C’è un profumo”, scritta con C.F. Gaito, che dalle prime intonazioni divenne il loro inno d’amore. Anche i coniugi Del Gobbo erano orgogliosi di Valter ed erano felici quando con lui vi era Mariuccia. E lo furono ancor di più quando l’11 ottobre 1952 parteciparono al matrimonio nella Chiesa di San Massimo e al ricevimento da Platti.
Su musica di Matteo Stantero (compositore attivo almeno fin dal 1923[17]), autore di valzer e tanghi per le importanti orchestre del tempo, Valter scrisse “Cerea tota”. Il testo non parla solo della nostalgia di un amore passato, ma anche della consapevolezza di aver perduto gli anni e le amicizie migliori. Riprende e quasi ripercorre la nostalgia di un’altra canzone molto nota “Solo me ne vò per la città” (di Testoni-Sciorilli, 1945), in cui il protagonista cerca, dopo gli anni di guerra, la ragazza che era stata il primo amore, quello che “non si può scordar”[18].
Nel 1952 Valter smise di scrivere testi, ma non poteva immaginare quanto sarebbero state richieste e suonate anche negli anni a seguire. Un successo che fu riconosciuto otto anni dopo, il 12 ottobre 1960, al Teatro Alfieri, quando in occasione del secondo Festival di musica piemontese fu premiata la sua “Cerea tota” alla presenza di mostri sacri dello spettacolo come Erminio Macario, Carlo Campanini e Mario Ferrero (quello della Compagnia Bataclan). Nel breve volgere di due anni aveva scritto 31 canzoni e guadagnato abbastanza per esaudire il suo sogno con Mariuccia. L’intenso lavoro gli aveva consentito di allontanare i fantasmi del passato ma non di affrontarli e superarli. Ora su un tavolo di fòrmica nel nuovo alloggio di Corso Mediterraneo 74 con Mariuccia al fianco poteva nuovamente lasciarsi trasportare dalle tenui tinte della poesia piemontese ed esprimere in versi ciò che non riusciva a esternare con la voce.
[1] I primi esperimenti risalgono ai primi Anni Venti con la URI (Unione Radiofonica Italiana) (Caffarena 2005, p. 29).
[2] Paso doble, danza spagnola nata agli inizi del XX secolo e utilizzata nelle sfilate delle corride e nelle fiestas riscuotendo entusiastici consensi per il suo carattere spiccatamente andaluso; si afferma quindi come ballo di coppia eseguita con passi molto corti; anche se i ballerini professionisti la arricchiscono di figure tratte dal flamenco, nelle sale da ballo viene eseguita alla stregua di un fox-trot (v. Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, Torino, UTET, 1984).
[3] M.Ternavasio “I divertimenti e le vecchie sale da ballo” prima e seconda parte, La Stampa 14 e 21 Novembre 2008, consultato sul web 15/07/2022.
[4] Ternavasio 1999, p. 52
[5] Traggo queste preziose notizie biografiche da un interessante contributo di Dario Mimmo, che ringraziamo della cortese segnalazione, Mimmo 2021, p. 110.
[6] Stampa Sera, 24-25 maggio 1960.
[7] Lo spartito fu pubblicato nel 1952 dalle Edizioni Chenna. Fondate da Leandro Chenna nel 1904 e proseguite dai figli Silvio e Giovanni e in seguito, da Emilio, figlio di Silvio, le Edizioni Chenna contano attualmente quasi 3000 titoli. Sono ora curate da Andrea Chenna, pronipote di Leandro, che ringrazio delle preziose informazioni fornite.
[8] La Fonola in quel periodo apparteneva alla Fonotecnica del sig. Braga. In seguito il marchio passerà di mano in mano attraverso diversi proprietari fino all’attuale Fonola Dischi S.r.l. di Gianni Di Sario.
[9] Caffarena 2005, p. 37.
[10] M.Ternavasio, Il grande Fred, Torino, 2013, p.52. Ringrazio Paolo Gilè, figlio di Cosimo, per aver approvato quanto qui descritto.
[11] Rota 2021, p.135 (Intervista a Dario Arrigotti).
[12] Roncaglia 1995, p.39, Mazzoletti 2010, p. 273, Bianco 2011, p. 42. La Stampa ne annuncia i concerti il 12 gennaio 1935, a p. 6 nella rubrica Radio-Stampa, in un lungo e dettagliato articolo di Angelo Nizza. I due concerti si svolsero al Teatro Chiarella il 15 (La Stampa Sera p. 5) e 16 gennaio (La Stampa p. 9). Il Teatro, costruito nel 1908, fu distrutto dal bombardamento del 20 novembre 1942 (MuseoTorino.it, visitato il 5/12/2024, si veda fotografia in Chevallard 1995, p. 79).
[13] cfr. sito www.trio-lescano.it curato da Paolo Piccardo (visitato 22/8/2022).
[14] Per approfondimenti si rimanda alla biografia di Giovanni Abriani curata da Riccardo Fantin e pubblicata nella pagina Facebook “John Abriani and His Orchestras” e ai commenti di Paolo Piccardo del marzo 2016 (visitati il 24/8/2022). Ringrazio la Biblioteca Civica Internazionale di Bordighera per il gentile supporto.
[15] Tra le carte conservate vi è anche una cartolina postale del 1951 in cui il direttore di Radio Belgrado, Mile Ivanovic, gli chiede di inviargli delle partiture di intrattenimento musicale.
[16] Valter fu iscritto alla SIAE dal 1951 al 1966.
[17] La Stampa 13/7/1942, p. 2, una sua canzone viene elencata nel programma radiofonico dedicato alle canzoni “più in voga”. Il suo spartito più vecchio conosciuto è quello di un fox-trot intitolato “Mignonette” datato 1/1/1923. Nel repertorio della Discografia nazionale della canzone italiana dell’Istituto centrale per i Beni sonori e audiovisivi è elencato, ma senza alcun riferimento a sue composizioni o biografia (sito web visitato il 6/12/2024). Compare nell’elenco degli iscritti all’American Society of Composers, Authors and Publishers, 1936 e nei Catalog of Copyright entries, Music, degli anni 1956, 1964, 1966, 1968.
[18] E. Dalla Noce, Solo me ne vo’ per la città, Milano, 1997, p.15-17.