“Venezia, la mia città. Bussoleno, il mio paese”[1]
I genitori di Valter, Feliciano Mario Agostini e Teresa Stroppiana si conobbero dopo la prima guerra mondiale a Bussoleno.
Il padre, nato il 29 agosto 1895 a San Michele Extra (comune dal 1927 inglobato nella città di Verona), si era trasferito a Bussoleno il 29 luglio 1919 da Sampierdarena dove si era congedato dal servizio militare reso nella Marina come cannoniere scelto della flotta reale[2] durante la Grande Guerra. Allegro e gioviale amava leggere romanzi d’avventura, ascoltare opere liriche e scrivere poesie dedicate al mare.
La madre, nata l’8 luglio 1885 a Cantarana (AL)[3], aveva vissuto gli anni dell’adolescenza ad Acqui Terme dove la famiglia si dedicava al lavoro nei campi e all’allevamento dei bachi da seta[4], produzione molto diffusa a quell’epoca ma che alla fine dell’Ottocento non era più redditizia come un tempo[5]. Alla morte dei genitori, Teresa si trasferì con il fratello Francesco, Capo stazione in Ferrovia, prima ad Alessandria, poi a Bussoleno, in quell’epoca, importante snodo ferroviario della Val di Susa.
Teresa era una donna severa, dai principi antichi, puntuale alle messe della domenica e ai rosari, lontana dalla politica ma dall’animo convintamente monarchico.
Dieci anni la dividevano da Feliciano, ma fu egualmente un amore a prima vista. Feliciano e Teresa si sposarono il 7 maggio 1921 a Bussoleno e l’organizzazione delle nozze fu affatto celere perché Feliciano, nel frattempo assunto in Ferrovia, era stato assegnato alla Stazione di Venezia come verificatore (formalmente “agente tecnico di verifica”, mansione che svolgerà fino al pensionamento, il 29 agosto 1955).
Venezia negli Anni Venti. La città di Venezia, superati i disastri della guerra e la pandemia della spagnola, stava risorgendo grazie a importanti iniziative industriali, come il Porto di Marghera, e soprattutto a eventi culturali, nonché mondani, di risonanza internazionale. Riaprivano gli storici teatri e fin da subito fu il tutto esaurito a ogni spettacolo, alla Fenice così come al Goldoni . A Venezia arrivavano artisti, soprattutto in occasione dell’Esposizione internazionale d’arte[6], celebrità del cinema e famiglie facoltose attratte dal turismo di lusso. A Venezia in quegli anni abitavano, tra gli altri, la diva del cinema muto Lyda Borelli dopo il matrimonio con l’industriale Vittorio Cini, nonché l’amante di Gabriele d’Annunzio, la cosiddetta “Marchesa Casati” e l’icona dello stile Coco Chanel. Negli Anni Ruggenti Venezia divenne così un modello indiscusso di stile e di eleganza, di lusso e di svago.
A Venezia i neosposi presero casa a pochi passi dalla stazione, in Calle Priuli dei Cavaletti, a Cannaregio 102, una sistemazione poco dispendiosa, ma decorosa.
Il 20 maggio 1922 nacque Valter e per Teresa, che due mesi dopo avrebbe compiuto 37 anni, fu un dono del Signore, prezioso e rasserenante. “Don Bosco, figlio prediletto di Maria Ausiliatrice, aiutami tu ora a educarlo nel cammino verso Gesù”, ripeteva a capo chino nei primi banchi della Chiesa di Santa Maria di Nazareth.
Vivere in tre con un solo stipendio non era semplice ma non impossibile grazie ai notevoli benefici che il personale ferroviario aveva ottenuto, dopo diversi scioperi, nel 1919. Indennità caro-viveri, acconti e altre integrazioni avevano aumentato il reddito in misura sufficiente[7] per affrontare le frequenti impennate del costo della vita[8]; Teresa aveva ricevuto una rigida educazione in economia domestica e riusciva agevolmente a discernere tra essenziale e superfluo. Essenziale era innanzitutto mantenere uno stretto legame con i parenti. Scriveva spesso a Bussoleno e a marzo dell’anno successivo andò a ritirare dal fotografo le copie della cartolina con il piccolo Valter su un candido cuscino nella più classica delle pose dell’epoca. L’emozione e la felicità le suggerirono le dediche più adatte per ciascuno dei parenti. Le spedì il giorno seguente. Una la consegnò personalmente al fratello Pinotto e alla moglie Ercolina che con i figli Sergio di 11 anni e Felice di 8 abitavano, anch’essi, a Venezia.
Il piccolo Valter crebbe cullato dalle onde della laguna. Ogni esperienza si impresse indelebile nella memoria: la prima volta in gondola, la prima volta in piazza San Marco, la prima volta sull’altalena dei Giardini Papadopoli; nelle calli se ne stava perennemente assorto a naso all’insù, come solo a un bambino riesce di fare. Lo sfarzo e i contrasti architettonici degli spazi umani, gli odori e i profumi degli spazi naturali concorsero a creare in Valter un legame duraturo, quasi genetico, e sempre poetico con la sua città natale: Venezia diventò il suo primo abito, il suo primo ricordo. Sul traghetto se ne stava immobile in ginocchio sulla panca di legno per seguire con lo sguardo le onde e il traffico della laguna tra prospettive sempre mutanti. Durante la passeggiata pomeridiana tra le calli, era papà Feliciano che lo teneva per mano declamando i versi scritti quando era marinaio tra una cannonata e l’altra. Pareva di vivere al centro di un incantesimo e avrebbe voluto che mai terminassero quelle lunghe passeggiate senza meta con lo sciacquio delle onde a far da musica di sottofondo. La domenica, dopo la messa, Feliciano tra i sontuosi palazzi intonava “Se quel guerrier io fossi” o “Libiamo nei lieti calici” o un’altra aria, ché il suo repertorio era piuttosto ampio. Sarà stata la passione canora o solo una certa sua sordità, rimediata come “cannoniere scelto” in Marina, ma talvolta alzava oltre misura la voce e Teresa prontamente glielo faceva notare con una fugace occhiata, amabile ma severa.
A Natale 1925 Feliciano decise di fare una gran sorpresa a Teresa. Le regalò una macchina da cucire Singer di seconda mano. Teresa rimase ammutolita dalla felicità e pensò subito di usarla per cucire un bel vestitino a Valter da “sfoggiare” a carnevale. Per tempo si mise al lavoro e quando giunse il momento lo vestì di tutto punto. Lo fece nuovamente fotografare per inviare le stampe in formato cartolina ai parenti. Valter ricorderà spesso da adulto l’irrefrenabile avversione che gli provocavano quelle fotografie patinate e irreali in cui non si riconosceva.
La meravigliosa Serenissima era però anche una città faticosa: la pervadente umidità stava minando da qualche tempo la salute di Teresa creandole sensazioni di eccessivo affaticamento e persino qualche svenimento. I malesseri diventarono sempre più ricorrenti e debilitanti e il medico non poté che consigliarle di lasciare la laguna e di stabilirsi in un luogo più fresco e salubre.
Feliciano chiese immediatamente il trasferimento e il 23 dicembre 1927 i genitori e il piccolo Valter tornarono a Bussoleno. In verità fu un ritorno solo per i genitori. Per Valter rappresentò uno sradicamento, il primo di una serie, non certo lunga ma sempre sofferta.
A Venezia Valter tornerà molti anni dopo per studiare a Ca’ Foscari ospite della zia Ercolina con la quale avrà sempre un legame di affetto e di grande tenerezza. Il nome della zia rimarrà sempre inscindibilmente legato, quasi per omonimia, a quegli anni veneziani illuminati dalla luce della laguna e inebriati dai sogni e dalle fantasie dell’infanzia.
A Bussoleno i genitori presero in affitto un appartamento di due camere e cucina in via del Traforo proprio di fianco alla stazione ferroviaria e nella cittadina ritrovarono parenti e vecchi amici. Feliciano ritrovò i suoi genitori, che nel 1924, nel corso del loro peregrinare[9], avevano deciso di trasferirsi nella vicina Susa. Fu comunque soprattutto la famiglia materna molto unita e solidale degli Stroppiana, a garantire a Valter quell’infinito e premuroso affetto necessario per mitigare il distacco dalla natia Venezia. Gli zii divennero parte integrante del suo mondo e le cugine le sue migliori amiche. La vicinanza quotidiana saldò legami che proseguirono intatti e insostituibili per tutta la vita. Valter conobbe nuovi amici e un paesaggio affatto diverso ma ugualmente meraviglioso. In breve tempo percepirà chiaramente di appartenere profondamente a quel mondo fatto di affetti, montagne, lunghe escursioni nell’aria salubre della Valle di Susa.
La sua prima pagella scolastica è dell’anno 1928/29 rilasciata dalla scuola elementare di Piazza Umberto I a Bussoleno. Le copertine delle pagelle delle classi elementari mutarono aspetto di anno in anno: si passò da un cartonato a colori dove, accanto allo stemma dei Savoia, compariva la bandiera italiana con l’effigie del fascio e la scritta “Regno d’Italia”, a un una copertina monocromatica (rossa nel 1930/31 e verde l’anno successivo) con una profusione di fasci resi imponenti da una compiaciuta prospettiva dal basso. La scritta “Regno d’Italia” veniva sostituita da quella del Ministero dell’Educazione Nazionale e da quella dell’Opera Nazionale “Balilla”. Nella pagella del 1932/33, della quinta elementare, la stessa scritta era accompagnata dall’immagine stilizzata di un giovane in posizione marziale con fez sul capo e moschetto in spalla. L’iconografia è sempre un veicolo essenziale della propaganda.
Dopo la quinta elementare Valter proseguì gli studi nella vicina Susa, al Ginnasio Norberto Rosa che aveva sede, fin da epoca napoleonica, nel Castello della Contessa Adelaide. A differenza delle elementari, la copertina delle pagelle del Ginnasio[10] negli anni 1933/34 e 1934/35 non aveva nessuna effigie fascista ma solo un bel sigillo in rilievo del Regno. In quarta pagina vi era però un riquadro specifico dove era necessario dichiarare l’adesione dell’alunno “all’organizzazione fascista”; al di sotto del riquadro l’elenco delle tasse annuali, 125 Lire (circa 138 Euro attuali), ridotte grazie a un “semiesonero per merito”.
In casa Agostini il fascismo era vissuto come un abito imposto dalle circostanze, un vestito che comunque non avrebbe mai potuto scalfire i principi etici più importanti, quelli cristiani cattolici, i soli ritenuti degni di essere adottati come modelli di comportamento. La madre accompagnava spesso Valter in chiesa non soltanto per seguire le funzioni ma anche per consentirgli di partecipare attivamente alla vita della comunità. Valter si trovava a proprio agio in una cittadina dove conosceva tutti i suoi coetanei e tutti gli adulti lo salutavano con simpatia. In parrocchia, poi, si era formato un Circolo di giovani cattolici molto attivo in iniziative educative e sociali e Valter vi partecipava con entusiasmo. Teresa curava da vicino la sua educazione, e con severità lo riprendeva quando notava atteggiamenti sconvenienti. “Prima di intervenire lascia che gli altri terminino di parlare, ora sei un ragazzino e devi comportarti bene, se non conosci l’argomento è meglio che annuisci e non rispondi; devi informarti, conoscere, studiare prima di rispondere”. E questo insegnamento fu sempre la sua regola di comportamento anche da adulto.
[1] Agostini 1991, p.10.
[2]Nel 1924 fu insignito della medaglia della Guerra 1915-18.
[3] Il Comune di Cantarana era allora in Provincia di Alessandria. Il 12/8/1928 venne inglobato in quello di Villafranca d’Asti (AL). Il 15/4/1935 Villafranca d’Asti cambiò Provincia e passò a quella di Asti. Il 23/6/1947 venne nuovamente costituito il comune di Cantarana (AT). Cfr. Storia dei Comuni, Variazioni amministrative dall’Unità d’Italia. http://www.elesh.it/storiacomuni/storia_comune.asp?istat=005018 (consultato il 1/1/2022).
[4] La bachicoltura in Piemonte, essenzialmente a conduzione familiare, era diffusa fin dalla seconda metà del Seicento grazie all’introduzione del filatoio idraulico ed era abbastanza remunerativa in quanto il prodotto poteva esser venduto sia fresco (da maggio a luglio) sia secco nei mesi successivi alle innumerevoli filande oppure nei mercati cfr. G. Federico, “Il baco e la filanda. Il mercato dei bozzoli in Italia (secoli XIX e XX)”, Meridiana, 15 (1992), p. 185-190.
[5] Bracco 1992, p. 147. Si veda anche M. Cassin, “La crisi della bachicoltura e sericoltura”, Relazione presentata e approvata dalla Camera di Commercio di Cuneo l’8/6/1911, 15 p.
[6]La Biennale del 1920 fu visitata da 240.510 persone.
[7] Luigi Einaudi in un dettagliato intervento del 1920 lamenta l’immotivato eccessivo aumento delle paghe, causa della crisi finanziaria delle ferrovie che arriverà ad avere un disavanzo di un miliardo e mezzo di Lire. Corriere della Sera, 1/10/1920. http://www.luigieinaudi.it/doc/il-disavanzo-ferroviario/ (consultato il 1/1/2022).
[8] L’inflazione era estremamente variabile: 1921 +18,74%, 1922 -0,59%, 1923 -0,57%, 1924 +3,52%, 1925 + 12,33%, 1926 +7,87% https://www.storiologia.it/tabelle/popolazione07.htm (consultato il 1/1/2021).
[9]Le notizie sulla famiglia di Feliciano ci pervengono unicamente dalle risultanze anagrafiche là dove reperibili. I genitori si chiamavano Pasquale Agostini (nato a Pianiga-Mellaredo VE il 15/4/1865) e Carolina Conti (nata a Pavia il 30/6/1864) e si sposarono a Pavia il 17/7/1886 andando a risiedere a Treviso. Iniziarono poi una serie ininterrotta di trasferimenti. Il loro primo figlio, Eugenio (28/2/1889-Torino, 7/2/1937), nacque a Brescia, mentre a Lecco ebbero Luigia (n. 9/11/1890), Delfina (n. 20/9/1891) e Curzio (20/11/1893-Baden 15/6/1987). A San Michele Extra, oltre a Feliciano, ebbero Camillo Angelo (n. 27/1/1898). Pasquale Agostini il 12/7/1918 si trasferì a Bussoleno dove un anno dopo, il 29/7/1919, venne raggiunto dalla moglie Carolina e dal figlio Feliciano che in precedenza erano residenti a Sampierdarena. Pasquale e Carolina si trasferiscono poi a Susa (17/4/1924), a La Spezia (30/10/1936), a Lerici (29/7/1937) e a Genova (24/11/1939). Qui si perdono le loro tracce perché i documenti ante 1950 sono stati distrutti dall’alluvione del 1970. Si ringraziano di cuore tutte gli uffici anagrafici delle città elencate per le pazienti ricerche e le notizie cortesemente fornite.
[10]La Riforma Gentile prevedeva un Ginnasio quinquennale (tre anni di corso inferiore, e due anni di corso superiore, con esame intermedio di ammissione), che dava l’accesso al liceo (quello che sarebbe stato in seguito denominato Liceo Classico di 3 anni).